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THE HOURS
(THE HOURS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 marzo 2003
 
di Stephen Daldry, con Nicole Kidman, Julianne Moore, Meryl Streep, Ed Harris, Miranda Richardson, John C. Reilly (Stati Uniti, 2002)
 
Neo-laureato con un Orso d'argento per la miglior interpretazione femminile al recente Festival di Berlino (spartito in tre dalle invero brillantissime protagoniste, Nicole Kidman, Meryl Streep e Julienne Moore) THE HOURS è il risultato di un altrettanto brillante gioco di rinvii. Tra un romanzo, quello molto considerato di Michael Cunningham, premio Pulitzer nel 1999, ed un film. E, all'interno di questo film, fra tre storie che si intrecciano progressivamente, tre epoche diverse, tre giornate, tre donne, tre mali di vivere.

La prima storia (1941) racconta delle ultime ore nel Sussex di Virginia Woolf (Nicole Kidman), quelle che precedono il suicidio della grande scrittrice; ispirato, se cosi si può dire, alle pagine del suo romanzo del 1925, "Mrs. Dalloway". ll cui titolo provvisorio era, appunto, "The Hours". La seconda (1953), descrive la giornata di una casalinga apparentemente perfetta (Julianne Moore) a Los Angeles, spinta al suicidio (mancato, questo) dalla lettura del medesimo romanzo della Woolf. La terza (2001), quella di una intellettuale bisessuale della Nuova York di successo (Meryl Streep), mentre assiste un amico scrittore malato di Aids. Che si rivolge a lei chiamandola affettuosamente Mrs. Dalloway…

Un libro, quindi, con tutto il suo peso: che si rispecchia in tre vicende interscambiabili. In un tema unico, chiaramente leggibile? Qui la perfezione levigata che caratterizza la fattura di THE HOURS arrischia una prima incrinatura: depressione, disperazione, suicidio, follia, certo. E ancora: impossibilità di realizzare i propri ideali, di aver vissuto a fondo le proprie passioni. Ma per lo spettatore che chiede soluzioni limpide e razionali la visione THE HOURS arrischia di rappresentare un'esperienza se non proprio frustrante, un tantino fine a sé stessa.

Un film, mi si dirà, è fatto per suggerire, non per spiegare. Per sfruttare la duttilità del linguaggio cinematografico, articolare le costanti di una costruzione drammaturgica come questa in tempi, epoche, spazi diversi; per legare a degli ambienti capaci di significarli, personaggi, situazioni eternamente diverse ma drammaticamente eguali.

Autore di un BILLY ELLIOT un tantino sopravvalutato, Stephen Daldry aveva a disposizione questa trama dalle ricorrenze cicliche altrettanto interessanti da indagare dei misteri psicologici che la abitano. E il peso di una poderosa, quasi mitica memoria letteraria: alla quale riferirsi, con tutto ciò che le immagini sono in grado di aggiungere alle parole.

Ma cosa finisce per fare? Attorno alla sceneggiatura saggiamente prosciugata che gli mette a disposizione un autore esperto come David Hare, attorno alla evidentemente superlativa (ma pure distaccata, referenziale) prestazione delle sue tre attrici, notoriamente tutte bravissime, costruisce una architettura inappuntabile quanto priva di ogni emozione. Fatta di accurate ambientazioni, distinte dominanti coloristiche (pastelli sbiaditi per gli anni quaranta, sature pennellate postmoderne per i cinquanta, grafismo incisivo per l'episodio in chiave contemporanea "newyorker"); della pulsione ansiosa della musica di Philip Glass. Ma in quella costruzione, esattamente come nella psicologia delle sue tre donne, non riusciremo mai ad entrare (e, dubito di proposito, allo scopo di tradurre la chiusura al mondo delle sue tre donne…): fredda ed impenetrabile, mai alimentata da quelle chiavi che la regia mette a disposizione del cineasta per indagare, e quindi spiegare, l'oggetto del proprio sguardo. THE HOURS diventa allora sempre più simile alla montagna, solenne e distante; quella che costantemente arrischia di partorire il (nobile) topolino.


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